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Storie di infanzie difficili, come impattano nella mente adulta. Due tonsillectomie

Varie sono le condizioni sfavorevoli infantili che impattano nella mente di un bambino e rischiano di  deviare il corso dello sviluppo come una frana caduta in alta montagna devia per sempre il corso di un ruscello. Dovremo però accennare che i traumi infantili per produrre danni  devono esser cumulativi come  a volte favoriti da caratteristiche temperamentali e genetiche del bambino/a.  Ritorneremo su questi punti e saremo forse stupiti da considerazioni su quanto influisce la genetica  e caratteristiche innate come il temperamento.  Rimane il fatto che noi ci rapportiamo alla realtà (lavoro, affetti, stress, amore, sessualità, lotta per emergere o non soccombere) con i modelli che abbiamo appreso nell’infanzia. I traumi (piccoli) sono utili poichè il processo di crescita necessita dover abbandonare l’idea che il mondo è bello, ci nutre, ci appaga  e ci protegge da tutto. Le incongruenze tra i nostri bisogni e la realtà ci permettono di crescere e modificare i nostri schemi mentali: ovvero diventiamo sempre più capaci di affrontare e risolvere problemi.

Cosa succede se una vita invece è ricca di traumi severi, magari che mettono in dubbio almeno nella nostra mente, l’idea della nostra conservazione ed integrità? Potremmo sviluppare da adulti  caratteristiche “evitanti” ovvero diventare freddi, poco empatici con gli altri, severi nell’agire anche procedure violente (abbiamo imparato ovvero a non chiedere aiuto, a non aspettarci nulla dagli altri) come pure esser “insicuri“, timorosi che il mondo ci travolga o oscillanti con un equilibrio mentale instabile.

Comunque secondo Winnicott (un famoso psicoanalista inglese degli anni ’60) poco servirebbe ad un paziente sentirsi dire “lei ha avuto una mamma poco amorevole.. ” e noi possiamo intuire quanto un lavoro sulla  narrazione di una vita di un paziente adulto possa  esser poco efficace se alimenta una sterile autocommiserazione ed un  vittimismo. Certamente vi sono persone più fortunate o sfortunate di altri e ciò può generare invidia o gelosia, ma poco possiamo farci poichè il tempo scandito dall’orologio non torna indietro.

Parleremo ora di due casi di tonsillectomia. Holmes (pag. 173) riporta di un uomo di circa 30 anni  che si recava da lui per un senso di depressione e fallimento matrimoniale. Ogni volta che nella vita le cose dovevano esser approfondite per sfociare in un successo (ad es. a lavoro, o nell’intimità con sua moglie) lui abbandonava il campo, si ritirava dal contatto, sia personale come lavorativo.  Un giorno in terapia un flusso di ricordi riportò alla memoria una tonsillectomia avvenuta quando aveva 5 anni. Era recluso in un ospedale, le visite dei parenti erano limitate (prima degli anni ’60 si usava così) e lui poteva vedere sua mamma solo  due volte alla settimana attraverso un vetro. Si ricordò la sua rabbia violenta per non poter andare via con la madre, gettava via i giocattoli che lei gli aveva lasciato e gridava “voglio la mamma”. Prese a piangere in seduta a dirotto.  Questo emergere del ricordo fu un punto di svolta della terapia: passò da un atteggiamento “io non voglio… ” ad “io voglio…” e divenne vieppiù attivo e propositivo senza abbandonare il campo.

Parecchi lavori parlano delle sequele della tonsillectomia (a volte collegata con l’a rimozione  delle adenoidi) sia psichiche che fisiche (la bocca  doveva esser  aperta e ovviamente il soggetto immobilizzato, vipotevano esser traumi ed emorragie). Già nel 1945 un medico DAVID M. LEVY, riportava come le conseguenze psichiche post operatorie nel bambino erano comparabili alle nevrosi da guerra post traumatiche (“The child’s postoperative emotional sequelae are analogous to combat neurosis, since the symptoms are of the same type and the principles of prevention the same”).

Veniamo al secondo caso. Un paziente  ha riportato come visse  la tonsillectomia nei primi anni ’60 ad una età di circa 5 anni. E’ probabile che il suo racconto nasconda il “tono globale” del tipo di cure materne e paterne e che il ricordo sia la punta di un iceberg. E’ utile porsi il dubbio, quando un paziente racconta un trauma con grande disperazione,  se il racconto di un singolo evento non nasconda un riferire di un ambiente ripetutamente carente.

Questo soggetto, anche lui trentenne quando iniziò la consulenza  psicoterapeutica, riferisce come fu portato in Ospedale e consegnato ad una suora. Questa lo portò in una lavanderia dove due inservienti stavano stirando delle lenzuola. Una disse all’altra “è questo il bambino che deve esser operato?”. Lui ricorda di esser sbiancato dal terrore, nulla sapeva e non capiva quale operazione. In teoria gli era stato detto che doveva esser visitato da un medico.  Fu portato poco dopo in una sala dove venne legato ad una sedia operatoria, la bocca aperta ed ingabbiata da ferri, la testa immobilizzata. Si accorse che un legaccio si era sciolto e che poteva alzare un braccio ma era tale il terrore che rimase immobile (freezing).  Tutto fu molto doloroso (tosillectomia e rimozione delle adenoidi), tutto pieno di sangue. Dopo l’intervento  fu portato in una stanza di degenza. Sua madre venne poco dopo con un gelato ma lui ricorda che lo rifiutò per dimostrare silenziosamente  l’ostilità alla madre. Il danno fu per lui amplificato dal fatto che l’anno seguente i suoi genitori pagarono (oppurtunamente) l’anestesia per la sorellina che doveva subire la stessa operazione. Questo gli causò sentimenti di invidia ed ostilità.  L’iceberg qui parve notevole e molti episodi di violenza fisica routinari ed umiliazione hanno contraddistinto questa madre. Molti anni dopo lo stesso soggetto, dopo decenni di assenza di contatti reali con la madre,   non assistè la stessa malata, non sentendosi in grado di superare emozioni   fisiche negative alla sua presenza.

E’ probabile che molti bambini negli anni ’40 – ’60 abbiano subito interventi di tonsillectomia  senza preparazione adeguata ed anestesia, proprio come i combattenti in guerra amputati da una pallottola, o operati senza antidolorifici,  ma rispetto gli adulti questi hanno  una struttura psichica ancora fragile. E’ vero comunque che l’aggressione non è fatta a fine di male ma per curare e non si è esposti all’odio ed all’aggressività totale che caratterizza le guerre.  In questi casi lo strutturarsi di stili disfunzionali di funzionamento dipenderà dal tono globale dell’accudimento.  Dovremo quindi misurare l’iceberg e capire quanto è stato occasionale, un evento isolato o simbolico di un clima di trascuratezza. Ovvero quanto si può curare e quanto solo alleviare. Non tutto è reversibile.

In questo caso parafrasando il pensiero di Liotti e della teoria dell’evoluzione delle emozioni e dei sistemi emozionali, possiamo ricordare la seduta e trovare verbalizzazioni del paziente sul “sistema di attaccamento” (struttura cerebrale limbica)  ovvero “descrizione di episodi  in cui i genitori hanno negato la protezione”  ed il  “sistema di difesa” (struttura cerebrale del tronco cerebrale)   ove la strategia  scdi difesa fu quella della paralisi (freezing) e non di fuga e attacco.

Per chi volesse vi è un video molto crudo del 2008  su una operazione di tonsilectomia effettuata in Bielorussia, pochi anni addietro senza anestesia causa la povertà del paese. Attivando i sottotitoli in Inglese si possono percepire le verbalizzazioni del bambino (ad es. “perchè mi coprite gli occhi?”).  Se avrete la forza di vederlo, potrete meglio capire il trauma per i due pazienti citati. Nei commenti al video un signore russo, un certo Vlad,  riferisce come fosse normale tra il ceto povero subire ciò e che il 40% dei suoi compagni subirono questo trattamento. Serviva a costruire soldati  indifferenti al dolore di altre vittime?  E’ probabile che gli stessi operatori sanitari debbano attivare difese e razionalizzazioni  contro sentimenti di angoscia alla vista di un bimbo sofferente operato senza anestesia. In uno studio molto vecchio, ma probabilmente attuale, si vede come i medici debbano esser indifferenti e poco empatici poichè devono salvaguardare la correttezza dell’operazione. Nel caso specifico del video in Irlanda fu raccolta una colletta di 85.000 euro per consentire allora di effettuare nell’ospedale bielorusso le operazioni simili con anestesia. Si ignora la situazione attuale.

In tutti questi casi di traumi psicologici severi  anche dopo molti anni,  anche da adulti, se permangono sintomi,  un ciclo di colloqui psicologici finalizzati a circoscrivere gli effetti di un possibile PTSD (stress post traumatico) può esser  opportuno.

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