Riapriamo. Diagnosi di demenza: sette incontri gratuiti di consulenza a VICENZA
Causa il noto problema Covid 19, nel periodo dal 12 Marzo al 3 Maggio 2020 le consulenze all’utenza sono state offerte tramite web (skype, whatsapp o gotomeeting) a seconda delle disponibilità e capacità informatiche dell’utenza ed è stata attivata una chat quotidiana (ancora in funzione) così da permettere ad un gruppo di volontari, utenti e parenti di potersi sentire in collegamento ed all’interno di una comunità. Dal giorno 7 Maggio ’20 le consulenze sono tornate possibili in studio, ovvero un ambiente sanificato come da disposizioni governative negli ambiti di lavoro, seguendo le indicazioni dell’Ordine degli Psicologi del Veneto per gli incontri in studio (locale areato, distanza, mascherina, guanti, pulizia ed areazione successiva, distanziamento temporale tra i colloqui) con in aggiunta la auto – compilazione di questionario usato negli ambulatori sanitari (stato di salute, contatti con persone a rischio, sintomi negli ultimi 14 giorni) per un automonitoraggio. Ovviamente per chi volesse anche la modalità web è ancora possibile.
VI aspettiamo quindi, contattateci.
Di seguito una illustrazione del progetto.
Cosa fare quando si riceve una diagnosi di Alzheimer o demenza? Ci possono comunicare che vi è una Demenza o riferirci altre diagnosi che ci paiono per non siamo competenti, simili (Demenza Vascolare, Demenza Lewy Body, Demenza Fronto Temporale o diagnosi più lievi come lieve deficit cognitivo o MCI ). Naturalmente dobbiamo seguire le indicazioni mediche di trattamento ed ogni 6 – 12 mesi avremo probabilmente una visita medica di controllo, ma ciò può non bastare. L’ansia, la depressione, l’incertezza possono invadere la nostra vita. Non sempre i servizi sanitari riescono a colmare questo periodo di elevato stress, dopo aver avuto la prima diagnosi. Se abitate a Vicenza (o nei Comuni limitrofi) un progetto prevede la possibilità di godere di un supporto psicologico gratuito con 7 incontri mensili individualizzati che vi aiuteranno a capire la malattia e la possibile sua evoluzione, ad affrontare con meno disagio la diagnosi, ad attivare alcune risposte efficaci. Il progetto prevede anche la formazione di Volontari che potranno essere di supporto nel tempo successivo ed un trattamento di potenziamento con neurofeedback per soggetti con lievi deficit cognitivi iniziali.
Per ricevere informazioni telefonate la mattina dal Lunedì al Venerdì (ore 9.30 – 12.30) al numero 0444 512733 oppure 351 553 4869 e lasciate in segreteria il vostro nome ed il numero di telefono, sarete richiamati, oppure inviateci una email a info@neuropsicologiavicenza.it . Il progetto è a cura di Job Mosaico ; è finanziato dalla Fondazione Cariverona e gode della partnership e del volontariato offerto da NeuropsicologiaVicenza e dalla Associazione AVMAD. Di seguito si illustra il progetto. Alla fine del testo trovate le locandine.
Ricevere una diagnosi di malattia neurodegenerativa comporta elevati livelli di stress nel paziente e nei suoi familiari. Questo stress tende ad acutizzarsi nelle fasi immediatamente successive alla diagnosi, in cui spesso i familiari e pazienti si ritrovano soli a gestire questa nuova situazione. Un supporto psico-sociale ha mostrato un impatto positivo nel ridurre lo stress, mantenere le autonomie e ritardare la necessità di servizi di assistenza, con benefici non solo per i pazienti e familiari ma anche per il sistema sanitario nazionale. (Alzheimer Scotland 2011 Getting Post Diagnostic Support right for people with dementia).
La malattia di Alzheimer in specifico è contrassegnata dalle seguenti caratteristiche:
- La causa della malattia di Alzheimer è tutt’ora sconosciuta
- Non vi sono cure efficaci;
- La malattia ha una progressione graduale;
- I trattamenti farmacologici dei sintomi non sono molto efficaci e possono rallentare il declino, che comunque continua fino al decesso;
- Le persone con malattia di Alzheimer hanno ad un certo punto bisogno dell’assistenza di altri che se parenti, proveranno depressione, sconforto e stress.
La comunicazione di una diagnosi così infausta, di demenza, è raramente diretta al soggetto stesso a meno che non sia ancora estremamente giovane e la richieda esplicitamente. Ad. esempio in Gran Bretagna nel 2002 circa il 60% dei psicogeriatri affermava di non comunicare sempre la diagnosi ed il 20% riteneva che non fosse utile per il paziente. Studi Italiani rilevano come il principale argomento contro la comunicazione è che il paziente si deprimerebbe senza trovare più piacere dalla vita ed il decorso della malattia sarebbe accelerato. Quasi la totalità dei parenti secondo lo studio stesso, non desidera alcuna comunicazione chiara al parente se non un riferimento a “problemi di memoria”. In questo ultimo caso il paziente può rimanere inconsapevole (ma sempre più confuso poiché non sa inquadrare i propri sintomi) e lo stress si accumula invece sul parente (congiunto, figlio etc.) che improvvisamente si trova ad affrontare oltre che alla necessità di dissimulare lo sconcerto al parente malato, tutti i pensieri correlati ai nuovi impegni e doveri. Diverse ricerche invece fanno luce sul fatto che il paziente comunque percepisce qualcosa, una riduzione di funzionalità e competenze, situazione fonte comunque di depressione ed ansia. Il paziente durante l’effettuazione di test neuropsicologici o anche un breve esame cognitivo medico, esperimenta ansia e depressione fino dal momento dell’attesa della visita precipitando in un vortice ove sensazioni negative e senso di inadeguatezza aumentano vieppiù. Se invece sono interrogati, i pazienti con lievi deficit cognitivi preferiscono conoscere la diagnosi e seppure la depressione non scemi, vi è un certo senso di attenuazione dell’ansia. Un clinico famoso (Pietro Vigorelli, autore dell’approccio capacitante), ad una conferenza narrava come venne nel suo studio un uomo appena 55enne dopo esser stato visitato da innumerevoli neurologi senza ricevere la diagnosi. Il quadro clinico e strumentale di malattia cerebrale degenerativa agli esordi era chiaro ma nessuno si prendeva la responsabilità di comunicarlo. Questo ultimo medico invece comunicò la diagnosi e ricevette i ringraziamenti del soggetto, finalmente a conoscenza di cosa doveva comunque affrontare.
I pazienti durante la prima visita potrebbero a volte inoltre osservare come le domande vengano poste ai parenti e non a loro e questo accentua la frustrazione. “Una donna statunitense riferì come si fosse sentita trattata in modo da lei vissuto come umiliante, davanti a molti studenti senza che le fosse richiesto il permesso” e questo aveva accentuato i deficit cognitivi. Se la autrice dell’ultimo testo citato in nota, dr.ssa Burgener, riferisce come in Illinois venga spesso dedicato un incontro alla comunicazione della diagnosi, ciò non accade generalmente in Italia ove si hanno a disposizione pochi minuti a fine visita con una programmazione di un successivo incontro di solito ad un anno per il monitoraggio medico e cognitivo. Vi è nei Centri di Decadimento Cognitivo veneto una carenza di personale psicologico più volte fatta notare in stessi documenti ufficiali della Regione Veneto. E’ pur da segnalare come vi siano connessi alla comunicazione di diagnosi infauste, possibili cadute depressive e pericoli di reazioni auto- aggressive ed ad esempio le statistiche riportano, seppure in una cultura diversa dalla nostra (statunitense, ove probabilmente vi è meno solidarietà sociale e più spinta alla autorealizzazione) una certa seppur minima frequenza di tentati suicidi post diagnosi .
Comunicare la diagnosi è quindi un atto che richiederebbe tempo per valutarne gli aspetti ed è comunque in genere utile poiché dal punto di vista clinico permette al paziente di attivarsi e rallentare il decadimento praticando esercizi e nuovi stili di vita, attività piacevoli o aderire a programmi di cura sperimentali; dal punto di vista etico permette al malato scelte di vita sul proprio futuro, dal punto di vista giuridico permette di esprimere Disposizioni Anticipate di Trattamento. Il sistema sanitario Scozzese garantisce ad ogni soggetto, nel primo anno successivo alla diagnosi di Demenza, di un supporto da parte di un operatore formato. Tale decisione fu successiva ad una sperimentazione che ne valutò l’efficacia. Uno studio pilota sul “supporto post diagnosi” finanziato dal governo mostra l’impatto a lungo termine nel ridurre e ritardare la necessità di servizi di assistenza. Una stima del rapporto costi benefici è stata fatta dall’associazione Alzheimer Scozia che riferisce l’evidenza che il “supporto post diagnostico” ritardi la ISTITUZIONALIZZAZIONE di 2 – 4 anni con un costo di 1.000 – 1.500 sterline per anno che faranno risparmiare più tardi 60.000 – 70.000 sterline. La comunicazione della diagnosi in un contesto quindi di continuità di cure ed assistenza “centrata sulla persona” può permettere al soggetto affetto da demenza, di conservare a lungo un senso di identità, mantenere il ruolo attuale, gestire la reazione degli altri alle sue perdite di memoria o défaillance, mantenersi attivo, contenere i disturbi psichici. In Scozia tale programma, denominato “5 pillars” (“5 pilastri”) è finalizzato ad un supporto continuativo a favore dei soggetti che ricevono una diagnosi di Demenza come dei loro familiari per 6 mesi, periodo in cui in cui verranno affrontate 5 aree di intervento: 1) la comprensione della malattia e dei sintomi comportamentali associati (si supportando le persone con demenza e i loro familiari dando informazioni che trasmettano anche una certa dose di speranza in modo di venire a patti con la demenza e imparare a autogestire la condizione. Questa azione comporta incontri individuali, familiari e di piccoli gruppi); 2) il favorire il continuare a frequentare gli spazi sociali e relazionali soliti per rimanere in contatto con la propria comunità (si lavora a stretto contatto con le persone per migliorare la loro qualità della vita e massimizzare il supporto naturale che ricevono da chi li circonda, contribuendo ad evitare isolamento e ridurre o posticipare il futuro affidamento sui servizi di assistenza.. Si dovrà lavorare con la persona per pianificare attività di comunità anche mirate); 3) l’usufruire del sostegno dei pari (tramite incontri e gruppi di autoaiuto, quando è possibile ciò è altamente efficace nell’aiutare le persone a venire a patti con la malattia e a trovare risposte positive); 4) il pianificare il futuro (supporto per la creazione di procure e nomina ADS mentre sono in grado di fare le proprie scelte a proposito del futuro. Ciò includerà la gestione di questioni molto delicate in modo competente e informato); 5) il decidere di quali cure mediche ed assistenza godere quando si sarà impossibilitati a deciderlo.
Per maggiore info contattateci.
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Carlo Francesca
Ok, non sapete da dove arriva sto alzaimher (anche se io qualche deduzione…), ma perché questa crescita esponenziale negli ultimi anni e nel mondo occidentale…?
Mario Zerilli
in poche righe, due tre sono i fattori: la aspettativa di vita che tende almeno ad oggi ad alzarsi, diventiamo più vecchi ed aumentano le probabilità di questa malattia; stili di vita meno sani e capacità di diagnosi dei medici accurate. In Kenia ad esempio si vive molti anni di meno in media (67 anni è l’aspettativa di vita, circa 15 anni meno che in Italia!) e probabilmente non c’è nessun geriatra che ci visita a meno che non fossimo molto ricchi.
Alida Lavorgna
Buongiorno ,da sei mesi al mio compagno(non siamo conviventi ,perciò burocraticamente non ho nessun potere decisionale……14 anni che stiamo assieme ), di 55 anni hanno diagnosticato demenza precoce tipo Alzheimer. Inizialmente i familiari pensavano fosse depresso perciò dopo un colloquio con un pschiatria già informato dalla nipote e dove il mio compagno non ha detto una parola ….gli ha prescritto subito pscofarmaci !E da lì prima il ricovero per tre mesi nel reparto di psichiatria,da febbraio ad oggi è stato trasferito in una casa di riposo ?In sei mesi è totalmente trasformato ,ha perso la parola è dimagrito moltissimo e nelle ultime video chiamate era sempre a letto ……Io sono devastata da tutto ciò ,pensavo di poter continuare nonostante tutto ad esser la sua compagna invece con scelte fatte da altre persone hanno tolto la possibilità di poter vivere una demenza “serena “. ..La scienza cosa sa della demenza precoce?
Mario Zerilli
Cara signora. Il quadro è conosciuto purtroppo e la Demenza di Alzheimer con esordio precoce è devastante e veloce. Ci chiami, potremmo organizzare, se non abita vicino a Vicenza, un incontro video (gratuito) con un esperto. Ci faccia sapere. Il fatto ci pare di capire di non aver un quadro formale per il vostro affetto è almeno in Italia un problema ulteriore. La nostra mail è info@neuropsicologiavicenza.it