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deficit soggettivi cognitivi e differenze cerebrali strutturali

Per disturbo cognitivo soggettivo (SDC, subjective cognitive decline) si definisce una condizione eterogenea di difficile definizione in cui è presente la percezione soggettiva di un peggioramento delle proprie abilità cognitive nella vita quotidiana, in assenza di deficit neuropsicologici rilevabili ai test standard (Lopez et al., 2019). Il soggetto lamenta un calo della propria memoria che genera preoccupazione e lo porta spesso a sottoporsi ad una visita medica. In letteratura si ipotizza che tale categoria diagnostica possa essere predittiva e precedere un deterioramento cognitivo lieve (MCI, mild cognitive impariment), una categoria che circa nel 40% dei casi può portare allo sviluppo di una demenza di tipo Alzheimer (AD, Alzheimer’s disease); in altri casi si tratta di un deficit fisiologico legato all’età o prodotto da patologie organiche transitorie. Può essere inoltre associato a stati ansioso/depressivi (Ferreira et al., 2019).

Una recente ricerca italiana (Pini e Wennberg, 2020) ha cercato di fare chiarezza all’interno del complesso mondo del disturbo cognitivo soggettivo, andando ad indagare quali differenze strutturali del cervello caratterizzano i soggetti con SDC. Analizzando un vasto pool di studi è emerso come l’SDC sia presente in letteratura all’interno di due popolazioni distinte: la prima, cercata attivamente nella popolazione, è composta da soggetti che lamentano difficoltà cognitive e di memoria ma non chiedono aiuto; la seconda popolazione, definita clinica, è formata da soggetti che portano all’attenzione dei servizi le loro difficoltà cognitive per attivare percorsi di valutazione riabilitazione.

Riassumiamo lo studio che presentiamo. Questo  studio conferma l’importanza del SDC come categoria diagnostica caratterizzata da alterazioni strutturali e percezione soggettiva di difficoltà cognitiva. Come suggerito dallo studio, soggetti SDC  “estratti” dalla popolazione, pur lamentando difficoltà cognitive superiori rispetto alla media non chiedono aiuto per risolvere tale problematica. Lo studio ci mostra come questi soggetti mostrano un pattern di atrofia cerebrale compatibile con un esordio di AD, di maggior consistenza rispetto ai soggetti che si interfacciano con le strutture sanitarie. Poco più del 20% delle persone che lamenta disturbi della memoria che interferiscono con la qualità di vita consultano un medico, pur essendo il calo di memoria uno dei principali sintomi che caratterizza l’anzianità (come ad es. asma, udito, mal di testa, insonnia…) ma quello che con minor probabilità porterà ad un consulto medico (Begum et al, 2012). L’automonitoraggio dei propri sintomi cognitivi si rileva una strategia efficace e preventiva che permette di impostare programmi riabilitativi che rallentano il decorso di una patologia neurodegenerativa. Come suggerito dagli autori, nuove tecniche di visualizzazione cerebrale più accurate ed economiche porteranno in futuro un aiuto nella diagnosi di atrofia ad uno stadio iniziale, non rilevabile ad oggi dai test neuropsicologici.  Ed ora analizziamo lo studio in dettaglio.

Grazie ad una analisi qualitativa lo studio ha dimostrato la presenza di alterazioni strutturali in soggetti SDC rispetto ai controlli sani, confermando l’importanza neurobiologica di tale condizione. Nel campione non clinico sono state rilevate alterazioni strutturali tipicamente coinvolte nella AD, in regioni quali ippocampo, corteccia temporale e parietale, dove era presente un quadro di atrofia. Questa tendenza non è stata rilevata con egual forza nel campione clinico, che ha mostrato un quadro di atrofia strutturale più complesso e diffuso. Sempre in questo campione, numerosi studi lamentano alterazioni significative a livello della corteccia frontale ed insula bilaterale, regioni associate ad una sintomatologia ansiosa e depressiva. Per gli autori queste alterazioni possono indicare la presenza di sintomatologia ansioso/depressiva che porterebbe i soggetti a ricercare aiuto e a vivere questa condizione di declino cognitivo con forte disagio emotivo.

Il complesso rapporto tra cognizione e umore rende l’interpretazione di questo risultato complessa. Infatti, il SDC potrebbe essere causato dallo stato depressivo (Zlatar et al., 2018), che porta a rimuginare su pensieri a contenuto negativo, in questo caso legati alle abilità di memoria che declinano naturalmente con l’età. Inoltre, la presenza di uno stato depressivo potrebbe essere indice di un disturbo comportamentale causato dal processo degenerativo che inizia a manifestarsi, specialmente in soggetti che non presentano una storia medica psichiatrica. Non sempre l’eccessiva consapevolezza dei propri deficit è negativa, anzi può portare ad intervenire tempestivamente sui propri sintomi cognitivi. All’opposto una scarsa consapevolezza, pur non generando preoccupazione nel soggetto, è spesso un sintomo di una iniziale demenza. Uno studio ha dimostrato come soggetti poco consapevoli delle proprie difficoltà mostrino un ridotto metabolismo corticale (Cacciamani et al., 2017) e rappresentare uno stadio primordiale della AD. Il ruolo dell’umore, pur restando un tema aperto, non sembra rilevante per il decorso futuro, non essendo presente una differenza significativa tra il campione clinico e il campione non clinico nei tassi di conversione verso una AD (Mitchel et al., 2014).

Concludendo, secondo gli autori sono necessari ulteriori studi per definire dove il SDC si colloca nel continuum tra invecchiamento sano e AD. Il SDC si caratterizza per essere composto da due gruppi, uno invisibile che non cerca aiuto, e uno che vive con più disagio tale condizione e lo porta a cercare una soluzione. In quest’ultimo va tenuta in considerazione la sintomatologia ansioso/depressiva e il comportamento di aiuto, con opportuna diagnosi differenziale per trattare.

 

 

Post di Leonardo dr. Dalla Costa

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Bibliografia:

Pini, L., & Wennberg, A. M. (2020). Structural imaging outcomes in subjective cognitive decline: Community vs. clinical-based samples. Experimental Gerontology, 111216.

López-Sanz, D., Bruña, R., Delgado-Losada, M. L., López-Higes, R., Marcos-Dolado, A., Maestú, F., & Walter, S. (2019). Electrophysiological brain signatures for the classification of subjective cognitive decline: towards an individual detection in the preclinical stages of dementia. Alzheimer’s research & therapy, 11(1), 1-10.

Ferreira, D., Falahati, F., Linden, C., Buckley, R. F., Ellis, K. A., Savage, G., … & Westman, E. (2017). A ‘Disease Severity Index’to identify individuals with Subjective Memory Decline who will progress to mild cognitive impairment or dementia. Scientific Reports, 7, 44368.

Cacciamani, F., Tandetnik, C., Gagliardi, G., Bertin, H., Habert, M. O., Hampel, H., … & Audrain, C. (2017). Low cognitive awareness, but not complaint, is a good marker of preclinical Alzheimer’s disease. Journal of Alzheimer’s Disease, 59(2), 753-762.

Zlatar, Z. Z., Muniz, M., Galasko, D., & Salmon, D. P. (2018). Subjective cognitive decline correlates with depression symptoms and not with concurrent objective cognition in a clinic-based sample of older adults. The Journals of Gerontology: Series B, 73(7), 1198-1202.

Mitchell, A. J., Beaumont, H., Ferguson, D., Yadegarfar, M., & Stubbs, B. (2014). Risk of dementia and mild cognitive impairment in older people with subjective memory complaints: meta‐analysis. Acta Psychiatrica Scandinavica, 130(6), 439-451.

Begum, A., Morgan, C., Chiu, C. C., Tylee, A., & Stewart, R. (2012). Subjective memory impairment in older adults: aetiology, salience and help seeking. International journal of geriatric psychiatry, 27(6), 612-620.

Photo by Matt  & by Chris Lawton on Unsplash

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