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ictus, riabilitazione e neurofeedback

nel blue

Wayne Edsall ha da poco compiuto il settantunesimo compleanno quando un grave ictus cerebrale lo stronca, gli toglie la parola e la capacità di scrivere e muoversi liberamente. Wayne era un pilota di aereo provetto. Abituato a solcare i cieli con aerei da turismo, si sente profondamente menomato e depresso. Le due figlie, che non accettano la prognosi funzionale dei medici e dei riabilitatori, intraprendono con tenacia un allenamento fatto di test di memoria, giochi, letture, calcoli per riportare il padre a recuperare le proprie capacità e a volare. L’attacco ischemico aveva interessato l’area di “Broca“: un ictus trombotico aveva chiuso una parte di arteria e il mancato afflusso di sangue ha causato  un infarto cerebrale, ovvero la morte del tessuto cerebrale per mancanza di ossigeno. I sintomi che Wayne accusava erano afasia (di produzione), agrafia, alessia, lieve aprassia. Secondo i medici non bisognava farsi troppe aspettative: avrebbe potuto al massimo re-imparare a giocare a “dama” e rassegnarsi. Le figlie invece sfidarono i medici ed i riabilitatori e si impegnarono loro stesse direttamente con il papà  in ore giornaliere di riabilitazione senza alcuna assistenza specialistica.  Wayne arrivò a rifiutare il farmaco proposto (Ritalin) e proseguì gli allenamenti con le figlie, fino a riabilitarsi completamente. Ottenne  nuovamente il brevetto di volo di “aviatore di terza classe“. Continuò quindi per quasi 20 anni a vivere una vita ricca e volò fino al 2017.  Ci lasciò nel 2019 all’età di 89 anni.

Ecco una parte della storia di Wayne:  per tutta la giovinezza si divertì a costruire modellini di aerei. Dopo essere uscito dalla Marina, prese il brevetto di pilota e per i successivi 30 anni, lui e il suo migliore amico, Bud Hall, comprarono e ricostruirono 10 aerei antichi tra cui un Curtiss, un Howard, un Waco, due Tiger Moths, uno Stinson, uno Stearman, un BT-13, un Birddog, un Birddog, un Fleet Series 9, e un progetto attuale, un Cessna Airmaster del 1943.

Tuttavia, ogni pilota sa quali sono le condizioni che richiedono la rinuncia alla licenza: infarto, intervento chirurgico di bypass o ictus.  Il 25 marzo 2000 il mondo di Edsall è andato in stallo quando un improvviso ictus lo ha reso incapace di leggere, scrivere, parlare o svolgere normali funzioni. Peggio ancora, i medici gli dissero che non avrebbe più volato. Ma la sua famiglia si rifiutò di accettare la triste diagnosi e decise di prendere in mano la situazione. Le sue figlie, Susan e Sharon Edsall, hanno ideato un rigoroso programma di riabilitazione per il padre. Sebbene il lobo parietale temporale sinistro di Edsall, la parte del cervello responsabile della parola e della comunicazione, non ricevesse segnali, il resto del suo cervello era ancora un alveare di attività. “Potevo sentire e pensare, ma non potevo parlare; era buio e solitario lì dentro“, riferirà Wayne una volta guarito.   Usando la sua laurea in letteratura inglese della Montana State University e le tattiche inglesi rudimentali, Susan Edsall e sua sorella hanno “ricostruito” il lobo parietale temporale sinistro del cervello del padre.  Il rigore ha dato i suoi frutti. Il 25 settembre 2000, circa sei mesi dopo l’ictus, Wayne Edsall fece nuovamente domanda per il brevetto di pilota. Dopo altri sei mesi di ansiosa attesa di una risposta, gli fu finalmente concessa l’autorizzazione dalla FAA per il rilascio speciale di un certificato medico di aviatore di terza classe, che gli permise di volare ancora una volta. Grazie alla dedizione della famiglia per il recupero del suo status di pilota, è tornato dietro i comandi del suo biplano  a navigare ancora una volta sul blu del Montana.  L’esperienza ha spinto Susan Edsall a scrivere il suo primo libro, “Into the Blue: Il volo di un padre e il ritorno di una figlia“. La National Stroke Association  portò  Susan e Wayne Edsall a Denver per la firma di un libro al Tattered Cover Book Store. Nella società odierna, gli anziani sono spesso messi in case di cura o di assistenza quando le cose vanno male o diventano incapaci di badare a se stessi. “Mettere mio padre in una casa di cura non è mai stata un’opzione“, dice Susan Edsall.

Dopo un ictus è necessario quindi non perdersi d’animo e sviluppare il più possibile le prorie capacità di essere perseveranti e tenaci nella riabilitazione. Come vedete da questa storia, è importante favorire quello che è un recupero in parte spontaneo impegnandosi subito dopo l’evento traumatico.  Fino a quando fare riabilitazione? Quando fare lo stop? Spesso in Ospedale  prescriveranno al massimo uno o due cicli di riabilitazione (10 o 20 sedute), sovente senza assistenza di un neuropsicologo.  Tutto questo per ovvie ragioni economiche. In realtà una riabilitazione è necessaria fino a quando continuano ad esservi progressi, quindi spesso oltre le 10 e 20 sedute prescritte nella ricetta rossa.

A tutt’oggi alla perseveranza è possibile aggiungere tecniche raffinate. Il neurofeedback, una tecnica non invasiva, può permettere infatti di migliorare la “connettività” delle aree cerebrali colpite da un infarto.  Nello studio recente del 2019, un corso di stimolazione interattiva della corteccia motoria primaria (area di Brodmann 4) nel cervello di un paziente affetto da uno stroke emorragico, ha portato ad un significativo  recupero dopo un anno dall’attacco nelle estremità paretiche ed al miglioramento della salute generale accompagnato da diversi cambiamenti nell’attività cerebrale. I dati incoraggiano una valutazione della opportunità di usare  la stimolazione neurofeedback per la riabilitazione di pazienti con ictus. Nella immagine sottostante vediamo come una ristrutturazione si è ottenuta dopo il trattamento di neurofeedback:

La figura mostra la situazione del coinvolgimento prima (a) e dopo (b) sei sessioni di neurofeedback, attestando una graduale acquisizione di indipendenza da parte del sistema motorio da quello visivo, che in termini comportamentali è stata espressa da una maggiore fiducia nei movimenti eseguiti senza grandi necessità di controllo visivo. La locomozione e l’orientamento spaziale sono migliorati.  In ogni sessione di 40 minuti di neurofeedback con target  la regione della  corteccia primaria motoria dx,  il paziente rimaneva immobile e ha cercato di aumentare il segnale EEG  in questa zona solo ricordando e immaginando il movimento di articolare il polso sinistro.

Per saperne di più su un trattamento di riabilitazione neuropsicologica integrato da neurofeedback, contattaci.

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