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Il mistero delle esperienze di premorte

Riassumiamo un articolo apparso recentemente sul Corriere della Sera che può esser così riassunto: “i pazienti in arresto cardiaco ricordano i medici intenti nella rianimazione, la percezione della separazione dal corpo e l’osservazione degli eventi senza angoscia“.   L’articolo riporta uno studio presentato a inizio novembre ’22 al simposio sulla rianimazione cardiopolmonare dell’American Heart Association.  Lo studio  ha rilevato in pazienti che si sono trovati a un passo dalla morte (e apparentemente incoscienti) la presenza di picchi di attività cerebrale, le cosiddette onde gamma, delta, theta, alfa e beta fino a un’ora dopo la rianimazione. Alcune di queste onde cerebrali si verificano normalmente quando le persone sono coscienti e svolgono funzioni mentali superiori, tra cui il pensiero, il recupero della memoria e la percezione cosciente. La ricerca ha coinvolto 567 uomini e donne il cui cuore ha smesso di battere durante il ricovero in ospedale e che hanno ricevuto un intervento di rianimazione tra maggio 2017 e marzo 2020 negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Nonostante il trattamento immediato solo un paziente su 5 è sopravvissuto all’arresto cardiaco dopo la rianimazione cardiopolmonare. Solo 28 pazienti sono stati in grado di parlare e rispondere all’intervista dei ricercatori. I sopravvissuti, collegati a dispositivi di monitoraggio del cervello, hanno riferito di avere esperienze «lucide» uniche, come ad esempio la percezione della separazione dal corpo, l’osservazione di eventi senza dolore o angoscia e una valutazione significativa della vita, comprese le loro azioni, intenzioni e pensieri verso gli altri. I ricercatori hanno scoperto che queste esperienze di morte sono diverse da allucinazioni, delusioni, illusioni, sogni o coscienza indotta dalla rianimazione. «Queste esperienze ricordate e i cambiamenti delle onde cerebrali possono essere i primi segni della cosiddetta esperienza di premorte» ha detto Sam Parnia.  Questo studio è l’ultimo tassello di ricerche su questo filone di ricerca ancora parecchio inesplorato. Una ricerca pubblicata   a febbraio ’22 tempo addietro su Frontiers in Aging Neuroscience aveva registrato le onde cerebrali di un uomo morto d’infarto scoprendo che il cervello, anche dopo che il cuore ha smesso di battere, continua ancora la sua attività: appena trenta secondi, davvero gli ultimi della vita. Subito prima e subito dopo l’arresto cardiaco è stato registrato un aumento di onde cerebrali molto specifiche note come oscillazioni gamma, collegate ad attività come il recupero della memoria, la meditazione e il sogno e  gli autori concludono come il cervello dopo la morte passi in una serie di stadi di funzionamento.

Proviamo a riferire una delle esperienze riferite da un medico palliativista  Daniela Cattaneo : “ricordo un paziente giovane, non aveva ancora 40 anni, arrivato in arresto cardiaco di natura sconosciuta ( poi si capì che era stato provocato da un grave infarto al miocardio).  Non sapevamo da quanto tempo era in arresto ma iniziammo il massaggio cardiaco, alternato a scariche elettriche, e nel contempo venne intubato per iniziare la ventilazione artificiale. L’osservazione neurologica evidenziava pupille che tendevano ad essere midriatiche (molto dilatate) ed erano molto poco foto reagenti (variavano poco alla luce), segno di un danno cerebrale probabilmente già in atto. Lo massaggiammo per almeno un’ora, nonostante alcuni anestesisti erano del parere che fosse ormai irrecuperabile, dato che il ritmo non riprendeva; ma alla fine riprese un minimo ritmo cardiaco, naturalmente con diverse anomalie nel tracciato e con una pressione arteriosa estremamente bassa. Ricoverato in Terapia Intensiva, si notò che le pupille erano ancora medio midriatiche ma con maggiore reazione alla luce, e vennero dunque continuate le terapie del caso, anche cardiologiche, e con l’utilizzo di dopamina e noradrenalina per il mantenimento di adeguati valori pressori. Venne monitorato più approfonditamente dopo l’introduzione di catetere di Swan Ganz in succlavia, ma il paziente era comunque in coma, in assenza di farmaci sedativi. Dopo un paio di giorni manifestò segni di risveglio ma, permanendo in gravissimi condizioni dal punto di vista emo-dinamico, non era possibile estubarlo, e quindi venne sedato e curarizzato per mantenere un adeguato adattamento al respiratore. Venne poi praticata una tracheotomia. Il suo ricovero in terapia intensiva si rese necessario per circa tre settimane, ma con un graduale miglioramento delle sue condizioni generali che resero possibile una progressiva riduzione della sedazione e conseguente graduale svezzamento dalla respirazione artificiale.  Venne poi spostato nel reparto di Post Intensiva in ventilazione con CPAP, quindi in respiro spontaneo, mentre le sue condizioni neurologiche erano caratterizzate da stati di vigilanza,  alternati a stati soporosi probabilmente  provocati dalla blanda sedazione ancora in corso. Le notizie che i medici davano ai familiari vertevano costantemente sul fatto che molto probabilmente il suo cervello aveva sofferto troppo, tanto da escludere una ripresa della normale vita quotidiana. Venne poi il momento di de-canularlo, dato che i parametri respiratori erano ottimi e si alimentava( imboccato dai familiari ) senza problemi di ab-ingestis. Il paziente era vigile ma non parlava nonostante annuisse e/o sorridesse alle nostre battute oppure si rattristava, manifestando quindi una discreta comunicazione non verbale. Fu trasferito in Cardiologia e lo perdemmo naturalmente di vista. Dopo circa due anni venne a trovarci con sua moglie. Noi non lo riconoscemmo subito, ma fu lui a ricordarsi di noi , di quello che era accaduto e ce lo raccontò. Si ricordava di avere sentito un forte dolore al petto e senso di soffocamento, e poi, dopo un vuoto, del ricovero nella sala urgenze del nostro reparto mentre praticavamo le manovre di emergenza. Riferì che lui era in alto sopra di noi e vedeva il nostro affannarsi nel massaggio cardiaco e nell’intubazione: vedeva tutto di colore bianco, luminoso, ma scorgeva nitidamente il personale e quello che faceva. Riconobbe me ed il mio collega presenti, ricordava benissimo il medico che ci diceva di desistere ormai dalle manovre. Ricordava con precisione che il carrello dell’emergenza era a destra del letto e che a sinistra c’era la porta. Ci riferì che provava uno stato di benessere così forte che voleva comunicarcelo ma si accorse che noi non lo sentivamo. Poi, dopo un tempo che non sapeva quantificare, sentì la voce di suo padre (deceduto anni prima) che lo sollecitò di tornare giù dal soffitto perché sua moglie e i suoi due figli avevano ancora bisogno di lui ed in quel momento avvertì di cadere come in un tubo, ma senza provarne paura. Serbava ricordi frammentari anche del periodo in Terapia Intensiva, riferendo di vedersi, sempre dall’alto, pieno di fili e di tubi. Poi non ricordava più nulla, neanche del periodo di ricovero nelle post-intensiva, nonostante erano i momenti nei quali, secondo noi, doveva essere più sveglio. Nel ringraziarci pose anche lui l’attenzione sul fatto di non avere più paura di morire, e fortunatamente aveva condiviso con la sua famiglia questa esperienza senza timore del giudizio ed aveva acquistato una fede nel ‘’dopo morte’’ che mai aveva avvertito prima

Bruce Greyson, psichiatra dell’Università della Virginia, autore di un test per misurare l’intensità dei sintomi associati a queste esperienze, ha individuato una serie di fattori che accomunano le esperienze pre-morte vere e proprie, e cioè:

  • accelerazione o rallentamento dello scorrere del tempo;
  • “velocizzazione” del pensiero;
  • ricordo vivido di scene del passato, rivisitazione della propria vita come in un film;
  • sensazioni di profonda gioia, pace e comprensione;
  • comparsa di una luce brillante diffusa;
  • passaggio attraverso tunnel con in fondo una luce;
  • comparsa di paesaggi “celestiali”;
  • impressione di uscire dal proprio corpo e di poter vedere l’ambiente dall’alto;
  • incontri mistici, suoni di voci “ultraterrene”;
  • sensazione di trovarsi a un punto di confine, a un limite oltre il quale non c’è ritorno;
  • “incontri” con persone già decedute.

Le spiegazioni di queste esperienze non sono necessariamente riferibili ad una visione religiosa della vita anche se l’ipotesi dell’esistenza di diverse dimensioni è discussa dai fisici teorici. Questi spiegano tra l’altro come sia tremendamente difficile per un soggetto che vive a tre dimensioni rendersi conto che ne esiste un altra e così via. Guardiamo il  bellissimo video Flatlandia per farci un’idea. Le esperienze pre-morte sarebbero quindi una finestra su un altra dimensione.

La rivista Focus ci spiega in parole relativamente semplici le ipotesi fisiche che spiegherebbero  questi accadimenti. La prima è quella di un doping naturale, ovvero il  rilascio di endorfine e altri neurotrasmettitori  è responsabile delle sensazioni di calma, benessere e pace interiore sorprendentemente associate a un possibile momento di fine vita. E il trip allucinogeno indotto da un potente psichedelico, la dimetiltriptammina (DMT), somigliano molto da vicino alle sensazioni riferite in chi ha avuto esperienze di pre-morte. La DMT è una sostanza comunque presente nel nostro fluido cerebrospinale: è possibile che in prossimità di eventi traumatici come la nascita o la morte l’organismo ne produca maggiori quantità per proteggerci dallo shock di ciò che sta per succedere, innescando le allucinazioni. Un altro fattore, l’assenza o scarsità di ossigeno nel cervello (anossia), potrebbe spiegare le allucinazioni e l’euforia percepita; i piloti che perdono coscienza nelle manovre di rapida accelerazione descrivono alcuni sintomi tipici delle NDE, come la visione a tunnel. L’anossia può causare fenomeni epilettici nei lobi temporali, e con essi le allucinazioni. Quanto al fatto che i sintomi allucinatori vengano descritti come incredibilmente “reali”, non c’è da stupirsi: i circuiti cerebrali coinvolti nelle allucinazioni uditive, infatti, sono gli stessi reclutati nell’ascolto vero e proprio. Questo può stupire chi non tratta questa materia: il nostro cervello è in grado di costruire immagini (come suoni) e l’esempio più conosciuto da tutti, ovviamente non le allucinazioni, sono i sogni. Nell’affascinante libro di Oliver Sacks, “l’occhio della Mente”  ci rendiamo conto come persone cieche possono costruire immagini visive aderenti alla realtà (percepita in vari modi) e come gli anziani affetti da degenerazione maculare  possano  percepire allucinazioni visive vivissime (e conturbanti, fino a che un esperto non li rassicura spiegando il meccanismo). Queste allucinazioni sono descritte nella “sindrome di Charles Bonnet”. Del resto il  ricercatore  Patrizio Tressoldi in un recente articolo (novembre ’22) intitolato “come ci si sente fuori dal proprio corpo?..” riferisce dell’esperienza, autoindotta, in ipnosi o per autosuggestione,   di 13 persone di sentirsi fuori dal proprio corpo. Questa esperienza sarebbe  simile a quella riferita da soggetti realmente stati vicino alla morte (“near death esperience“).

Vi è poi una ipotesi evolutiva di queste esperienze pre-morte. Gli autori, tutti danesi, riferiscono come   “le esperienze di pre-morte siano  conosciute da tutte le parti del mondo, tempi diversi e numerosi background culturali. Questa universalità suggerisce che le esperienze di pre-morte possono avere un’origine e uno scopo biologico”. Ci riferiscono come  l’ipotesi come la “tanatosi, ovvero la finzione di morte, un meccanismo di difesa di ultima istanza negli animali, sia l’origine evolutiva delle esperienze di pre-morte. La tanatosi è una strategia di sopravvivenza altamente preservata che ritroviamo a partire dagli insetti  fino agli esseri umani.  Gli esseri umani sotto attacco da parte di predatori animali, umani e “moderni” possono sperimentare sia la tanatosi che le esperienze di pre-morte;  la tanatosi è il fondamento evolutivo delle esperienze di pre-morte e che il loro scopo biologico condiviso è un vantaggio per la sopravvivenza. Gli autori propongono come l’acquisizione del linguaggio abbia consentito agli esseri umani di trasformare questi eventi da una finzione di morte relativamente stereotipata sotto attacchi predatori nelle ricche percezioni che formano le attuali esperienze di  pre-morte.

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Ascent of the Blessed  Hieronymus Bosch 1505  – 1515.

Photo by Tony L on Unsplash

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